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giulia

INTRODUCING STORIES FOR A FRIEND – With the support of Blues Made in Italy

Gennaio 9, 2018 by GabrieleDodero

La realizzazione del progetto è maturata in un lungo lasso di tempo, in cui il padovano Gabriele Dodero ha avvertito l’esigenza di intraprendere una nuova strada, alla ricerca di un linguaggio che lo rappresentasse maggiormente. Lo stile, volutamente minimale e intimista -creato dai soli suoni di chitarra acustica e voce – è il suo modo più naturale per riuscire ad aprirsi e a raccontare qualcosa di sé, pescando a piene mani tra i brani della tradizione Folk, Blues e Country. I brani che compongono il CD sono stati accuratamente scelti per la loro evocazione di esperienze di vita vissuta ed avvenimenti che lo hanno segnato, come il brano “The Cape” di Guy Clark, scelto perché parla di tutte le persone che vivono senza compromessi, rischiando in prima persona per l’affermazione delle proprie idee. “Coyotes” di Don Edwards, è il racconto di una vita da parte di un vecchio cowboy, che vede il mondo cambiare e inghiottire uno alla volta i suoi riferimenti, fino ad accorgersi di essere diventato, suo malgrado, il personaggio di una storia al confine tra verità e leggenda. Fondamentali del CD sono poi le reinterpretazioni di brani di Doc Watson, indiscusso maestro del fingerpicking, “Deep River Blues” e “Windy And Warm”, capisaldi del genere bluegrass, così come “Saturday Night Shuffle” di Merle Travis.

Un richiamo potente al folk-blues è dato dalla significativa ed introspettiva versione di “Stagger Lee”, ballata scelta dalla discografia di Mississippi John Hurt, da “Trouble In Mind” di Lightnin’ Hopkins e “Hard Time Killin’ Floor” di Skip James, brani che scavano nell’inquietudine e nelle sfaccettature più oscure dell’anima.

Con un arrangiamento che si addentra a pieno nel mood e nell’atmosfera del disco, è “Feelin’ Good”, brano cantato da Nina Simone, notoriamente più legato al mondo del jazz, per arrivare infine al gospel della tradizione, dove Gabriele esplora ancora un diverso linguaggio espressivo, includendo brani come “I Want Jesus”, “Going Down The Road Feelin’ Bad” e “I Shall Not Be Moved”, canti in cui si abbandona alla sua parte più spirituale e meno definibile.

“Stories for a Friend” arriva da un’iniziale grande spinta ricevuta da un caro grande amico di Gabriele che, nel tempo, lo ha stimolato e sostenuto, facendogli conoscere ed ascoltare tantissima musica. La storia purtroppo ha voluto che il suo amico non sia riuscito ad ascoltare insieme a Gabriele le registrazioni terminate a causa della prematura scomparsa: queste storie rimangono così per Lui, e per tutte le persone che credono con passione nei propri sogni.

ALBUM REVIEW @GUITAR CLUB MAGAZINE BY UMBERTO POLI

Gennaio 6, 2018 by GabrieleDodero

Ricordate “A proposito di Davis” (2013)? Il pluripremiato film dei fratelli Coen ispirato alla vita e alla figura del songwriter americano Dave Van Ronk? Il Greenwich Village, gli anni Sessanta, le strade di New York, i vagabondaggi, le avventure, gli amori, le piccole e grandi tragedie quotidiane… Tutto questo concentrato di immagini e suggestioni, ritorna ascoltando Stories For A Friend, disco d’esordio del chitarrista e cantante Gabriele Dodero (classe 1978) originario di Padova.

Artista affascinante, personaggio singolare sin dal look caratterizzato dall’inseparabile cappello, Dodero sviluppa nel tempo un amore incondizionato verso un certo tipo di ambienti sonori che partono dal blues per abbracciare gradualmente un più ampio spettro di influenze, artisti, dischi, generi musicali. Questa propensione all’ascolto, unita ad un’innata vena interpretativa, ne hanno plasmato la crescita, la tecnica strumentale e la (particolarissima) voce.
In questa manciata di canzoni – 13, tutte cover – è infatti proprio l’elemento vocale ad emergere come tassello a sé stante, quasi separato dai magici intarsi costruiti ad hoc dalle dita e dalle sei corde del protagonista. Tim e Jeff Buckley, Donovan, Tim Rose, Bob Dylan, Tim Hardin… sono soltanto alcuni dei nomi che fanno capolino nella mente quando Gabriele inizia a cantare, avvolgendo l’ascoltatore con il suo timbro dolce, delicato e al tempo stesso velato di uno struggente, insondabile, alone di malinconia e fantasmi. Spiriti vicini a quelli del sabato sera di tomwaitsiana memoria, senza volto né nome, eppure ben presenti di canzone in canzone e che aleggiano, si nascondono, pretendono attenzione, ti si aggrappano al collo dall’iniziale Stagger Lee fino agli ultimi secondi della conclusiva I Shall Not Be Moved, cui spetta il compito di chiudere le danze. A contenerli e a orchestrarli è la chitarra acustica del protagonista, che suona e arrangia in maniera magistrale, mostrando un fingerstyle deciso ma morbido, in linea con le tracce e con la dolente atmosfera che permea l’album.

Se Hard Time Killing Floor (Skip James), The Cape (Guy Clark), Saturday Night Shuffle (Merle Travis) e il traditional I Want Jesus colpiscono all’istante, è però Feeling Good (scritto dalla coppia Anthony Newley-Leslie Bricusse e portata al successo da Nina Simone) ad insinuarsi nella pancia in modo furtivo e permanente; così come l’intramontabile Going Down The Road Feelin’ Bad che, pur essendo stata eseguita negli anni da innumerevoli performer (da Woody Guthrie ai Grateful Dead a Delaney & Bonnie), Gabriele riesce a rimodellare attraverso una versione personale e molto intima.

Il disco è dedicato ai sognatori e a chi non si arrende mai. Una ragione in più per fidarsi e affidarsi a Gabriele Dodero, al suo cappello, alla sua chitarra, alla sua voce e alle sue canzoni folk, blues, spiritual e country. Fantasmi e cantastorie di questa levatura non si incontrano tutti i giorni.

By Umberto Poli
Read review @ Guitar Club Magazine

ALBUM REVIEW @ROCKNROLL398 BY SARA BAO

Novembre 5, 2017 by GabrieleDodero

Gabriele Dodero è un giovane musicista padovano che ha iniziato il suo percorso musicale con la chitarra acustica, ma nel corso degli anni ha studiato anche tromba e pianoforte con maestri di fama internazionale. Gabriele si è esibito nelle più importanti rassegne dedicate al Blues: Delta Blues di Rovigo, Marghera Estate Village e Blues Made In Italy a Cerea. Proprio a Cerea il mese scorso abbiamo avuto l’opportunità di apprezzare live qualche brano presente nel suo disco “Stories For A Friend”.

L’album si apre con la popolare folk song americana Stagger Lee che narra l’assassinio di Billy Lyons da parte di “Stag” Lee Shelton nel Natale del 1895. La dolcezza qui impiegata da Dodero non fa proprio pensare ad una storia sanguinosa, anzi sembra piuttosto una dolce ninna nanna. Stagger Lee viene qui rilegato sotto una cornice di vetro, mansueto e stanco, che si lascia tenere in vita da chi narra ancora la sua storia. Un personaggio entrato nell’immaginario di tutti come malvagio e spietato, qui viene addomesticato da un canto zuccheroso e una chitarra tipica delle più dolci ballate d’amore.

cd-cover-559x507Il secondo brano è Hard Time Killin’ Floor del buon vecchio Skip James. Le tinte qui si fanno più fosche, sfiorano lidi oscuri e desolati in un viaggio profondamente lamentoso. La voce tocca gli abissi più cupi e sale verso le vette più acute. Un pezzo che mette i brividi, in tutti i sensi.

Si prosegue poi con The Cape del grande Guy Clark. Il giovane bluesman ne fa una versione trasognata, tipica di uno che si lecca il dito, controlla il vento ed è pronto a tentare il volo. Senza paura Gabriele Dodero  stende le braccia e ha fiducia nel suo mantello, fa rivivere personaggi e canzoni per la gran parte finiti nel dimenticatoio. Questo è ben più che un atto di fede. E’ un moto di umiltà e rispetto verso i propri padri musicali. E chi si pone con questo atteggiamento è già sicuro di poter volare alto.

Con Saturday Night Shuffle si esula dal blues andando toccare il territorio del country. La chitarra è la protagonista assoluta e potrebbe benissimo prendere il ruolo del pianoforte nelle comiche mute di Roscoe Arbuckle e Buster Keaton.

Si prosegue sulle strade polverose del country con il brano Coyotes di Don Edwards. La polvere però viene qui spazzata via dalla voce soave del bluesman padovano. Emerge solo un languido strato di nostalgia per un mondo ormai scomparso sotto colate d’asfalto e acciaio.

inlay-1-ok-RGB-559x496Trouble in Mind di Richard M. Jones ci riporta nel reparto del blues. Il carrello è pieno di pacchi “blue”. Ma questa spesa di tristezza è temporanea perché lì sugli scaffali ci sono scatole di sole splendente belle in vista. E il prezzo della felicità non è neanche così caro.

Con l’ottavo brano si torna a casa, nella profonda tradizione americana. Going Down The Road Feelin’ Bad riporta alla mente la pacatezza di Mississippi John hurt in Make Me A Pallet On Your Floor. Un clima da Great Depression in cui la disperata ricerca di lavoro fa mettere in cammino migliaia di persone. La California è la terra promessa, ma una volta arrivati lì non si vede l’ora di scappare da padroni senza scrupoli. Via di nuovo giù lungo la strada, stanchi e spiritualmente malmessi.

Il nono pezzo è Feelin’ Good, splendido brano portato al successo da Nina Simone. Voce rotonda, chitarra delicata e un’atmosfera densa di fascino ed eleganza.

El Coyote ricaccia tutti sotto il sole texano di Guy Clark con un caramelloso valzerino country che ammalia chiunque l’ascolti. Si prosegue con Windy and Warm che mette sotto i riflettori la grande capacità chitarristica del giovane Dodero. Passi sommessi, brevi accelerate furtive e stop improvvisi plasmano una melodia ipnotica e strisciante.

A concludere questo interessante disco si trova il traditional We Shall Not Be Moved. Un brano che è diventato uno degli inni del movimento per i diritti civili viene qui cantato con soavità quasi religiosa. Chitarra e voce ci cullano e ci fanno scivolare in uno stato di torpore.

Un disco eccezionale che va a pescare brani e artisti davvero eterogenei per una scorribanda sonora nei vasti territori del sud. Il signor Dodero ha saputo collimare assi musicali differenti in un album che cammina in equilibrio tra folk blues, country, spiritual e traditional profani. Se siete stanchi del blues sporco e grezzo è tempo di mettere sul lettore “Stories For A Friend” per godersi la tranquillità e il calore del caminetto acceso. Lasciatevi cullare dal morbidissimo cuscino vocale e avvolgere dal chitarrismo lanoso e raffinato di Mr. Dodero. Gliene sarete grati.

 

by Sara Bao

Read review @ Rocknroll398

ALBUM REVIEW @ MACALLE’ BLUES BY GIOVANNI ROBINO

Ottobre 15, 2017 by GabrieleDodero

Nell’excursus musicale del padovano Gabriele Dodero ci sono diversi strumenti e percorsi. Qui, però, tutto torna al punto di partenza, a quella chitarra acustica, amata fin dal principio e ora resa protagonista indiscussa, insieme al canto e alle parole, in Stories For A Friend. Il disco si basa interamente sulla preziosa dialettica tra chitarra e voce e si snoda, in solitaria, su un itinerario musicale fatto di classici, intesi tanto come brani così come autori. Basta dare una rapida scorsa alla playlist per capire che non di solo blues vivrà l’ascoltatore, ma di ogni più tipica espressione popolare d’oltreoceano: folk, spiritual, country. Qui, Dodero, sceglie di raccontarsi attraverso le voci di autori i più diversi, ma tutti accomunati dal senso di un’intima, profonda narrazione. Così Skip James convive con Doc Watson, Merle Travis, il sommo Guy Clark e una sorprendente, personale rilettura della Nina Simone di Feelin’ Good. Un disco raccolto, sommesso e, ad un tempo, intenso. G.R.

Read review @ Macalle’ Blues

ALBUM REVIEW @ IL BLUES MAGAZINE BY SILVANO BRAMBILLA

Settembre 25, 2017 by GabrieleDodero

ALBUM REVIEW @ OFF TOPIC MAGAZINE BY ANDREA FURLAN

Settembre 21, 2017 by GabrieleDodero

Uscita sotto l’autorevole ala protettiva di Blues Made in Italy, l’associazione culturale diretta dall’infaticabile Lorenz Zadro, Stories for a friend è l’opera prima di Gabriele Dodero, musicista padovano, classe 1978, che giunto alla soglia dei quarant’anni ripensa il suo percorso musicale alla ricerca di uno stile più personale e vicino al suo particolare vissuto.

Il primo amore è la chitarra acustica che lo seguirà sempre anche quando la curiosità lo spingerà all’esplorazione di altri territori, dalla classica al jazz fino all’amato blues. Nei suoi studi non solo chitarra ma anche tromba e pianoforte, corsi e masterclass con artisti di fama internazionale e un curriculum ricco di esibizioni con orchestre classiche e formazioni jazz. È però il blues il genere che lo ispira maggiormente, da cui la sua partecipazione ad alcuni dei più importanti festival di settore, avvenuta per lo più in veste elettrica.

La svolta avviene nel 2016 quando matura l’esigenza di approfondire il linguaggio dei padri fondatori e si avvicina alle radici di blues, country e folk tornando al primo amore, mai dimenticato, la chitarra acustica. Lo stimolo più grande alla realizzazione di questo disco viene da un amico, grande appassionato di musica, che con la sua presenza, i suoi preziosi consigli e la profonda conoscenza di un vastissimo repertorio musicale spinge Gabriele a riflettere su sé stesso, a coltivare una vena artistica personale e lo aiuta così a individuare gli autori che con più facilità entrano in sintonia con la sua sensibilità. Tutto ciò sfocia in Stories for a friend, dedicato proprio all’amico, purtroppo ormai scomparso, e ai sognatori e a coloro che non si arrendo mai.

Il risultato di questo lavoro su di sé è un disco che mi ha affascinato con grazia sottile. Le sue note infondono calma e pacatezza fin dalla copertina che ispira un caldo tepore familiare, virata su toni marroni, una morbida atmosfera che accompagna tutti e tredici i brani. Registrato in perfetta solitudine, solo chitarra e voce, è un ottimo biglietto da visita e la prova del talento di Dodero che sfoggia una tecnica notevole alla sei corde e una padronanza stilistica che gli permette di spaziare con naturalezza dal fingerpicking di Doc Watson alla spiritualità del gospel, dal mood jazzy di Nina Simone al songwriting di Guy Clark.

Gabriele ha scelto di raccontarsi tramite una significativa raccolta di brani che, pur nella loro eterogeneità, compongono un insieme uniforme il cui trait d’union è dato proprio dalla sua interpretazione intima e coinvolgente, attenta anche ai minimi particolari, esaltata in una avvolgente dimensione acustica che li restituisce con grande autenticità e rispetto. A questo va aggiunta la pregevole qualità della registrazione, pulita ed equilibrata nella resa sonora, un tocco di classe ed eleganza che dimostra tutto l’amore messo nella produzione. La gamma espressiva varia dall’inquietudine della murder ballad Stagger Lee, ripresa repertorio di Mississippi John Hurt, al folk blues di Hard Time Killin’ Floor di Skip James, dall’efficacissima Deep River Blues di Doc Watson (maestro indiscusso del fingerpicking con cui Dodero si confronta con grande bravura) a Saturday Night Shuffle di Merle Travis e Windy And Warm di John D. Loudermilk, due strumentali brillanti e incisivi resi senza alcuna sbavatura, dal country blues Trouble In Mind (famosa la cover di Lightin’ Hopkins) alla cowboy song Coyotes di Don Edwards. Cito intenzionalmente per ultime le mie preferite del disco, The Cape e El Coyote, provenienti dalla penna dell’ultimo Guy Clark, entrambe di emozionante intensità, gli spiritual I Want Jesus e I Shall Not Be Moved per finire con la toccante Feelin’ Good che conserva i tratti della famosa interpretazione di Nina Simone.

Dodero affronta un repertorio decisamente impegnativo e ne esce a testa alta senza sfigurare al confronto di artisti che fanno letteralmente tremare i polsi. Stories for a friend è perciò un esordio maturo, ben ponderato, riuscito e convincente. Se questo è l’inizio, auguro a Dodero tutto il meglio e di continuare su questa strada perché avrà sicuramente grandi soddisfazioni. Lo aspetto al prossimo disco e alle sue composizioni originali che di sicuro sono in preparazione. Per il momento va bene così e, come si dice, se sono rose fioriranno!

Andrea Furlan

 

Read review @ Off Topic Magazine

INTERVIEW @ SALERNO NEWS 24 BY NICOLA OLIVIERI

Settembre 4, 2017 by GabrieleDodero

Poco più che trentenne Gabriele Dodero è un giovane musicista e polistrumentista padovano, che da tempo calca i palcoscenici di piccoli e grandi club ma anche di importanti manifestazione per proporre il suo blues e la sua musica. Ad un certo punto matura la consapevolezza che il blues sudato, quello heavy ed elettrico non gli basta più e sente il bisogno di un cambio di passo a favore di una forma espressiva più intima e minimalista che lui concretizza utilizzando semplicemente voce e chitarra.

Il rapporto con un amico scomparso a cui ha dedicato il disco, come si evince dal titolo Stories For a Friend, e con il quale ha condiviso la medesima visione musicale, lo ha portato a prendere la decisione di registrare questo album d’esordio privilegiando proprio la dimensione artistica più intimista e delicata, quella dimensione che gli ha consentito un’apertura gentile verso l’ascoltatore utilizzando parole e musiche di artisti che Gabriele ha imparato ad amare nel tempo come Guy Clarck, Doc Watson, Merle Travis, ma anche attraverso brani della tradizione folk-blues scelti dalla discografia di Mississippi John Hurt, Lightnin Hopkins e Skip James.

Questo disco è un ottimo esordio e rappresenta senza ombra di dubbio un preludio importante per i prossimi dischi di Gabriele Dodero, nei quali avremo la possibilità di ascoltare brani inediti sui quali sta già lavorando. Lo abbiamo intervistato per conoscerlo meglio. Ecco cosa ci ha raccontato di sé e della sua musica.

 

Nella tua scheda biografica si legge che hai studiato tromba e pianoforte, ma la chitarra sembra essere il tuo strumento.

La chitarra è stato il primo strumento che ho iniziato a suonare da bambino, ed è con me praticamente da sempre. Non l’ho messa da parte neanche durante gli anni in cui studiavo tromba al conservatorio (il pianoforte era uno strumento complementare). In realtà in tanti anni di passione per la musica ho suonato vari strumenti, infatti i miei primissimi concerti quando avevo 14-15 anni, li ho fatti da batterista. L’aver potuto suonare e studiare vari strumenti mi è stato di grande aiuto quando ho deciso di dedicarmi completamente alla chitarra: penso che l’avere approfondito gli aspetti ritmici e armonici su strumenti diversi tra loro, esplorandone i limiti e le possibilità, mi abbia permesso di avere una visione più ampia della musica.

Cosa è per te il blues e come ti sei avvicinato a questo genere musicale?

Il Blues è una musica istintiva, primordiale e autentica. Questa è una cosa che mi ha sempre catturato: è musica “semplice”, nel senso che ti mette subito in contatto con te stesso. Quando da ragazzino ho iniziato ad ascoltare i bluesman, soprattutto John Lee Hooker, Lightnin’ Hopkins, Robert Johnson, mi sembrava che avessero un segreto per riuscire ad essere così ipnotici e affascinanti con così poco, una chitarra e la voce, senza niente intorno. Questo segreto è ciò che cerco di afferrare da sempre, e so che la strada è lunga!

A giudicare dai brani che hai inserito nel tuo disco oltre al blues ti ispiri anche ad altri generi della tradizione.

Non mi è mai piaciuta l’idea di limitare i generi musicali: secondo me, anzi, è liberatorio scoprire dove un genere finisce e ne inizia un altro, e i miei ascolti musicali si sono sempre mossi in questa direzione. Va da sé che quando ho iniziato le registrazioni ho cercato di inserire quelle che sono le mie influenze maggiori, quindi il country, il bluegrass, il blues e lo spiritual. Ho anche cercato in qualche modo di lasciare che i generi si contaminassero tra loro, per esempio per l’arrangiamento di Trouble in Mind mi sono ispirato al country-blues di Lightnin’ Hopkins aggiungendo un tocco gospel all’armonia.

Guy Clark, Doc Watson, Merle Travis e molti altri sono gli autori dei brani inseriti nel tuo disco. Raccontaci come e perché hai scelto quei brani e quegli autori.

Guy Clark è sicuramente l’autore a cui sono più affezionato: ha la forza espressiva di un poeta, e la capacità, come un pittore, di dipingere attorno a chi ascolta la storia che racconta. Nei suoi testi trovo sempre qualcosa di me, della mia vita, e si può dire che la sua The Cape sia stata la spinta a iniziare a registrare.

Don Edwards è chiamato “the last of the troubadors”, l’ultimo cantastorie, e non poteva esserci soprannome più indicato: in Coyotes fa letteralmente sentire all’ascoltatore il profumo delle praterie e la natura selvaggia della vecchia America, fatta di cow boy e indiani, bufali e lupi. Racconta la storia di un vecchio cow boy che ha vissuto tutto questo e che rifiuta di vedere il suo mondo tramontare, e un giorno decide di sparire, chissà, forse per tornare nel mondo a cui appartiene. Questo è un pezzo a cui tengo molto, perchè alla fine parla dell’idea di non riconoscersi in un luogo, dell’andare via per cercare una propria dimensione di appartenenza, e sono due pensieri che non mi sono proprio estranei…

Doc Watson e Merle Travis, sono maestri indiscussi del fingerpicking, e dei veri e propri classici del bluegrass. I dischi di Doc Watson in particolare sono stati e sono tutt’ora (e lo saranno per sempre!) la mia scuola di chitarra acustica.

Un brano del cd a cui sono particolarmente legato è Feelin’ Good di Nina Simone: inizialmente ero un po’ incerto se inserirlo o no nel cd, per via della differenza di genere e di provenienza che ha rispetto agli altri pezzi; ma il messaggio di rinascita che porta con sé è talmente forte e legato in realtà a uno dei temi portanti del disco, che ho deciso di includerlo.

Non ti voglio chiedere cose sulla persona che ti ha ispirato questo disco, per non rischiare di sembrarti invadente, ma sarebbe interessante sapere cosa ascoltavate insieme e quale era la visione comune che avevate della musica.

Era un grande collezionista e appassionato di vinili, quindi grazie a lui ho potuto ascoltare registrazioni preziose. Ascoltavamo la musica di Lightnin’ Hopkins, Buddy Miles, i Funkadelic, una volta mi ha fatto ascoltare un vinile rarissimo di Eddie Boyd! Anche lui non era un tipo da “paletti” o limitazioni: passava dai Led Zeppelin a Marvin Gaye, e dai Jethro Tull a Miles Davis in tutta libertà. Ecco penso che libertà sia la parola che userei per descrivere la sua visione della musica, ed è la cosa che più mi manca.

Oggi cosa ascolti quando non suoni la tua musica?

Difficile rispondere a questa domanda! Ovviamente la musica afroamericana e quella tradizionale americana sono quelle che ascolto di più, quindi folk, blues, jazz, funky, soul, r’n’b, hip hop, country, bluegras… ascolto anche tanta musica classica. Poi mi lascio molto guidare dalla curiosità: ad esempio ultimamente mi sono appassionato alla musica araba, nella quale, anche se sembra strano, trovo tante più relazioni col blues di quanto non si potrebbe pensare. In generale comunque cerco di conoscere e ascoltare quanta più musica possibile.

Come sono oggi i tuoi concerti? Ti esibisci ancora nel blues elettrico e sudato come lo definisci tu o sei più propenso per un’esibizione minimalista?

Dopo anni di esibizioni in elettrico, tre anni fa ho sentito l’esigenza di togliere tutto e tenere solo l’essenziale: voce e chitarra. Sicuramente i generi che suono si prestano bene ad essere interpretati in vari modi, quindi in futuro potrei ampliare le sonorità aggiungendo altri strumenti; in questo momento porto avanti questa idea di uno stile minimale e intimo, e mi sento più vicino a me stesso così.

È stato complicato realizzare il tuo disco d’esordio? Cosa suggeriresti a chi legge e intende percorrere una strada analoga?

La realizzazione del disco mi ha tenuto impegnato per circa due anni… tantissimo! A quel tempo avevo deciso che se mi imbarcavo in questa impresa lo dovevo fare con consapevolezza e preparazione, cercando di superare i miei limiti. In ogni caso, al di là del tempo impiegato, non la definirei una realizzazione complicata: a questo progetto tenevo talmente tanto che ogni volta che si presentava una difficoltà mi trovava determinato a risolverla. Diciamo che l’entusiasmo era più alto delle barriere. Non so se mi sento in grado di consigliare chi vuole registrare un disco: l’unica cosa che mi sento di dire è che è un passaggio fondamentale e delicato nella vita artistica di un musicista, e come tale va trattato. È importante avere le idee chiare su cosa si vuole trasmettere e sulle motivazioni che spingono a farlo, curando ogni aspetto nei dettagli.

Stai lavorando al nuovo disco? Sarà diverso da Stories? Ci saranno inediti?

Con “Stories For A Friend” ho usato i testi di altri autori per raccontare qualcosa di me: adesso, pian piano, stanno arrivando delle parole, quindi ho iniziato a scrivere dei pezzi. Ancora non so cosa ne verrà fuori e come si evolveranno: cercherò di assecondare queste parole e la loro musica, seguendo la strada in cui mi porteranno.

Dove sarà possibile trovare il tuo disco e come hai deciso di gestire l’aspetto della vendita e della distribuzione.

Il disco è in vendita presso il negozio “Il 23 Dischi” di Padova, oppure tramite il sito www.gabrieledodero.com, e ovviamente ai miei concerti!

Prossimi concerti?

Sto pianificando la nuova stagione, il prossimo appuntamento è al Raduno Blues Made in Italy il 7 ottobre a Cerea. Ci tengo molto a presentare il mio lavoro all’interno di questa rassegna: al BMI devo molto, perché mi ha permesso, negli anni, di entrare in contatto con tante realtà belle e interessanti e di conoscere tanti musicisti che ora considero veri amici.

Grazie per il tempo che hai dedicato a questa intervista, speriamo di poterti ascoltare presto dal vivo in Campania e magari a Salerno

Grazie per lo spazio che mi avete dedicato, un grande saluto.

 

Nicola Olivieri

 

Read interview @ Salerno News 24

ALBUM REVIEW @ L’ISOLA CHE NON C’ERA BY NICOLA OLIVIERI

Agosto 30, 2017 by GabrieleDodero

Una volta, tanto tempo fa, la realizzazione di un disco d’esordio era un importante punto di arrivo. Oggi, con il mercato e la modalità di fruizione della musica così profondamente cambiati, un’opera prima è un punto di partenza altrettanto importante. Ed è questo il caso di Stories for a friend di Gabriele Dodero. Non è affatto scontato che un’opera prima sia un lavoro di buona qualità, ma in questo caso si può sicuramente affermare che la partenza è stata decisamente di alto livello, si potrebbe dire con il botto, se questa espressione non fosse in antitesi con la natura delicata e anche intima del disco visto che gli elementi che lo compongono sono solamente la chitarra e la voce dell’autore.

Gabriele Dodero è un musicista padovano poco più che trentenne che ha studiato tromba e pianoforte con maestri di fama internazionale, ma è la chitarra, in particolare quella acustica, lo strumento che continua a preferire anche quando la sua curiosità lo ha portato su percorsi musicali più vicini al jazz, al rock e al blues. Quest’ultimo è il genere da cui è stato maggiormente ispirato, la comfort zone nella quale ha condotto numerose ricerche con la finalità di appropriarsi delle sonorità e delle atmosfere della musica afro-americana.

Il disco è dedicato ad un amico scomparso (da qui il titolo Stories for a friend) con il quale Gabriele Dodero ha condiviso la medesima visione della musica e che lo ha spronato alla registrazione di questo ottimo lavoro. La decisione di inciderlo è maturata in un lungo arco temporale ed arrivata quando ha sentito forte l’esigenza di un cambiamento, affrontando la sfida di una nuova forma espressiva che lo rappresentasse in una forma più autentica ed efficace, passando quindi dal blues elettrico e strong, quello più sudato, come lui stesso lo definisce in una recente intervista, a qualcosa di più minimale ed intimista, aprendosi in sordina e delicatamente verso l’ascoltatore e parlando di sé attraverso brani e musiche di autori a lui particolarmente graditi, presi dalla tradizione folk, blues e country.

Nel CD sono inclusi brani di Guy Clark, autore molto apprezzato da Gabriele, di Doc Watson, il grande maestro del fingerpicking, di Merle Travis e ovviamente una selezione di brani della tradizione folk-blues scelti dalla discografia di Mississippi John Hurt, Lightnin Hopkins e Skip James.

Questo album è senza ombra di dubbio un esordio eccellente e rappresenta un presupposto importante per la carriera di questo artista,  il quale con Stories for a friend ha dimostrato di essere tanto maturo quanto sensibile. Il suo futuro riserverà ancora belle sorprese e sarà oltremodo interessante ascoltare gli inediti sui quali Gabriele Dodero sta già lavorando per inserirli nel suo prossimo disco. Nel frattempo andate ai suoi concerti. Sul sito (www.gabrieledodero.com) troverete tutte le informazioni utili allo scopo.

 

Nicola Olivieri

 

Read review @ L’Isola che non c’era

Interview for Magazzini Inesistenti by Gabriele Peritore

Agosto 28, 2017 by GabrieleDodero

Il disco “Stories For A Friend” di Gabriele Dodero è da poco uscito sui principali canali di distribuzione. Abbiamo incontrato l’autore padovano per farci raccontare qualcosa del suo debutto discografico.
A partire dal titolo sin da subito scattano molteplici curiosità: chi è questo misterioso amico a cui ti riferisci? Ce ne vuoi parlare?
L’amico a cui ho dedicato il disco è una persona che ho conosciuto qualche anno fa, quasi per caso; mi sono accorto subito che la nostra visione di quello che è la musica era molto simile, che ci muovevamo in un terreno comune. La sua casa era piena di dischi, ne aveva dappertutto, ed è una cosa che mi ha fatto molta impressione, (soprattutto in questo periodo fatto di mp3 e musica condensata). Era un vero appassionato di musica, di quelli che si siedono ad ascoltarla senza fare altro: senza telefonare, senza parlare, senza mangiare, e quando metteva un disco gli brillavano gli occhi. Fin da subito mi ha incoraggiato e spronato a registrare un disco, trasmettendomi tutta la passione che aveva. Quando ho iniziato le registrazioni, mi è venuto quasi naturale “rivolgermi” a lui mentre cantavo e suonavo, proprio come se fosse lì con me nello studio. Il fatto che lui non ci sia più, e di non essere riusciti ad ascoltare il disco insieme, è una cosa che mi rattrista ogni volta che ci penso, e spero che dovunque sia, in qualche modo, queste Storie lo possano raggiungere.
Dall’ascolto del disco emerge una tua totale adesione alle forme espressive musicali delle radici afroamericane, come nasce la tua passione per questa arte?
Avevo dieci anni, e un amico mi ha fatto ascoltare una cassetta di John Lee Hooker: rimasi letteralmente stregato dal suo sound, dal ritmo ossessivo, dalla voce cupa e profonda…. da lì ho iniziato ad appassionarmi al Blues, e a “scoprire” a poco a poco tutti gli altri personaggi che hanno fatto la storia e la leggenda di questa musica. Gli studi che ho fatto negli anni, la Musica Classica e il Jazz, potrebbero essere considerati più “elevati” e sofisticati rispetto alle umili origini del Blues; ma è una semplicità solo apparente, che dietro di sé nasconde la vera essenza dell’incastro ritmico e dei suoni ‘”melmosi” che sono la colonna portante di tutta la musica afroamericana.
Si possono fare dei paralleli tra il luogo da cui provieni e quei luoghi in cui è nato il Blues? Hai mai fatto un pellegrinaggio verso quei luoghi sacri?
No, non ho mai avuto, finora, la possibilità di andare nei luoghi del Blues, anche se ovviamente, mi piacerebbe molto andarci. Penso però che uno dei grandi poteri della musica, sia quello di trascendere il tempo e i luoghi: i  tormenti interiori e le domande che l’uomo affronta in ogni tempo e in ogni epoca, hanno sempre la stessa radice comune; va da sé che quindi in un brano musicale ognuno può ritrovare una parte di sé, della propria storia personale.
Essere Blues è più una questione interiore che di stile, quanto ti senti Blues?
La forza del Blues, come dicevo prima, secondo me è proprio la sua apparente semplicità: i suoi racconti, le sue parole, hanno il potere di parlare a tutti e di tutti e, chi sa ascoltare la sua voce, ritrova sempre sé stesso e il suo vissuto nei testi e nelle musiche che i grandi bluesmen ci hanno lasciato. Quante volte capita di sentir dire: “..ma si il Blues si fa presto, son tre accordi…”… ecco, io quando sento queste cose non so mai bene cosa rispondere (e di solito infatti non rispondo proprio niente), perché quei tre famosi accordi è da quando ho dieci anni che cerco di capirli e farli miei e, quando ascolto musicisti come R.L. Burnside, Skip James, Lightnin’ Hopkins, sento che quegli accordi li suonano perché ne hanno la necessità, perché gli escono direttamente dall’anima; ed è proprio in questa direzione che cerco di andare, di portare la mia ricerca.
Nell’album ci sono brani, da te reinterpretati, di autori leggendari del Folk, Blues, Bluegrass… come è nata la selezione di questi autori?
Nel disco ho inserito le musiche di alcuni dei musicisti che amo di più: la vera sfida è stata quella di cercare di dare una sorta di coerenza generale a tutta l’incisione, di far convivere assieme generi musicali che sono sicuramente affini, ma che magari stanno su piani diversi. Mi piaceva l’idea di creare qualcosa di “trasversale”, che potesse attraversare stili musicali diversi facendoli dialogare assieme. Credo, spero, di esserci riuscito, lavorando soprattutto sul sound generale e sugli arrangiamenti.
Ce ne è qualcuno a cui ti senti particolarmente legato?
L’autore a cui mi sento più legato è senza dubbio Guy Clark: quando ho ascoltato per la prima volta il suo brano The Cape, ho pensato subito che mi sarebbe piaciuto registrarlo in un disco. Si può dire che è stato uno degli stimoli principali ad iniziare a pensare a questo progetto. Mi trovavo in un periodo un po’ particolare, musicalmente parlando, iniziavo a sentire l’esigenza di trovare una strada nuova, di spostarmi dal Blues elettrico, aggressivo, sudato, verso qualcosa di più intimo, che mi desse la possibilità di esprimere qualcosa di più profondo. E ho sentito The Cape che, attraverso la storia di un ragazzino che, convinto di imparare a volare, si lancia dal tetto del garage con un mantello improvvisato… parla di chi rischia il tutto e per tutto per affermare la propria identità, le proprie convinzioni. E lì, in quel momento, ho capito che dovevo lanciarmi anche io, che era ora di osare e di mettersi in gioco. Quando l’anno scorso Guy Clark è morto, sono stato veramente male, non mi era mai successo di stare così male per un musicista che viene a mancare, e ancora oggi mi intristisco se penso che lui non è più tra noi.
Affronti anche reinterpretazioni di brani Gospel, quanto conta per te la spiritualità?
Ho ripreso alcuni spiritual tradizionali, I Want Jesus, nell’arrangiamento e nella versione di Eric Bibb, e altri due spiritual, Goin’ Down The Road Feelin Bad e I Shall Not Be Moved. Sono canti antichi, e il loro tema portante è quello della rinascita, e in un certo senso anche della riscossa: nei confronti della vita, e di quello che è andato storto; è un rialzarsi con forza dalla polvere e ricominciare a camminare, con la testa alta e con il cuore pieno di musica e di emozioni da regalare. La cosa che mi piace dei brani spiritual è che partono da una situazione difficile, per arrivare ad un’apertura verso una visione positiva del futuro, e li vedo quindi come uno stimolo a non mollare mai, che è anche il senso della frase che ho voluto inserire nella copertina interna del disco: mai mollare, mai arrendersi, e soprattutto bisogna sempre nutrire i propri sogni.
Hai scelto una dimensione intima e minimale – tu, la tua voce e la chitarra – dimostrando un coraggio fuori dal comune… pensi che questi tempi necessitino di un approccio artistico più sincero in generale?
Dopo anni di esperienze in elettrico, tre anni fa ho iniziato a chiedermi cosa stavo facendo, dove mi stavo dirigendo e… mi è un po’ mancata la terra sotto i piedi. Mi sono preso un momento di pausa, da tutto, per capire me stesso, per vedere la direzione da prendere e, alla fine, ho deciso che dovevo togliere: via gli amplificatori, i cavi, gli effetti, via tutto. All’inizio, e per la verità ancora adesso, mi sono sentito come in carne viva, esposto, senza barriere, ma ho capito che se volevo dire qualcosa di me dovevo eliminare i filtri, solo io e la chitarra. Dal punto di vista stilistico, penso che chi ha ascoltato il disco abbia capito chiaramente che non sono un fan del canto troppo aggressivo e muscolare, ho cercato di andare in controtendenza per creare un’atmosfera coinvolgente, adottando uno stile di canto più minimale ed etereo.
Cosa ti aspetti da questo disco? Hai in programma delle date di promozione?
Il disco verrà presentato il prossimo 7 ottobre al Raduno Blues Made in Italy, sto poi programmando la nuova stagione per promuoverlo. Con questo progetto volevo rompere il ghiaccio, e per farlo ho scelto in prestito le musiche e le parole degli autori a cui sono più legato; ora ho iniziato a lavorare a dei pezzi miei per proseguire la ricerca su me stesso, per mostrarmi come sono.
Grazie Gabriele per la chiacchierata sincera e a risentirci per il prossimo lavoro.
Vi ringrazio per lo spazio che mi avete concesso su Magazzini Inesistenti e vi mando un abbraccio!

 

Capitan Delirio/Gabriele Peritore

 

Read interview @ Magazzini Inesistenti

Album Review @ Il Diapason Blog by Alessandro Nobis

Giugno 24, 2017 by GabrieleDodero

C’è il marchio “di garanzia” di “Blues Made in Italy”. E’ il disco d’esordio del padovano Gabriele Dodero, polistrumentista talentuoso che in questo caso ha deciso di cimentarsi con lo strumento che lo ha folgorato da giovane (molto giovane): la chitarra acustica. Va detto che, per avere una preparazione classica e jazz, il “ragazzo” qui affronta il repertorio del più nobile folk e della canzone d’autore d’oltreoceano. Lo fa nella maniera più semplice, con riverenza e rispetto; con profonda conoscenza degli uomini e dei repertori, con un suono pulito preciso e con una voce convincente anche. Qui non trovate le “cover” dei soliti noti, qui trovate una deliziosa versione del celeberrimo brano di Skip James “Hard Time Killing Floor”, due brani di confine di Guy Clark, e poi Merle Travis e J.D. Loudermilk, il Doc Watson – dura affrontare il suo repertorio – di “Deep River Blues” e ci sono poi i brani tradizionali come “Going Down The Road Feelin’ Bad” cavallo di battaglia anche dei Dead ed il gospel di “I Want Jesus”.

Un lavoro, questo “Stories for a friend”, che ci consegna un Gabriele Dodero già maturo, un musicista che con questo esordio conficca nel suolo dei solidi paletti che indicano l’ambito del suo territorio musicale; vedremo gli sviluppi, intanto gustatevi anzi gustiamoci queste “storie per un amico”; ognuno di noi potrebbe esserlo. Ai più giovani consiglio di “usare” questo bel lavoro come un Bignami della canzone d’autore e folk d’oltreoceano: andate alla ricerca delle “fonti” e ve renderete conto che il Dodero ci sa proprio fare…….

 

Andrea Furlan

 

Read it @ Il Diapason Blog

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